domenica 19 giugno 2011

Nicola Del Duce ci spiega cosa cambia con la vittoria dei referendum sull'acqua. Politica

   Con la vittoria dei ‘Sì' gli enti pubblici proseguiranno a controllare qualità e costi di erogazione dell'acqua di rubinetto, che non vengono quindi affidati a imprenditori privati. Con la vittoria del secondo quesito viene abolita dunque la possibilità del gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa: quel tanto discusso 7% sulla bolletta degli italiani



Gli italiani si sono espressi in maniera piuttosto inequivocabile. Sia per l'alta affluenza, pari al 57% degli aventi diritto, sia per la valanga di ‘Sì' ottenuti dai 4 quesiti pari al 95% dei voti espressi. I due quesiti sull'acqua riguardavano: il primo, "la modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica", il secondo la "determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito". La vittoria del sì fa in modo che restano attivi gli affidamenti del servizio a società pubbliche, secondo la loro scadenza naturale. Toccherà ora ai Comuni, proprietari delle aziende in quasi tutte le città, stabilire il proprio futuro. Saranno infatti le amministrazioni locali a dover dire se faranno gare o affidamenti diretti.
Il primo quesito ha infatti abrogato l'articolo 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto 112 del 2008 convertito con la legge 133 dello stesso anno, e cioè quello che consente l'ingresso dei privati nella gestione dell'acqua.
Il secondo quesito ha invece cancellato il comma 1 dell'articolo 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del decreto 152 del 2006, vale a dire quello che dà diritto a una "remunerazione adeguata", anche attraverso l'aumento delle tariffe, per chi investe nelle società dell'acqua. Il punto vero è che tale remunerazione non era vincolata alla qualità del servizio erogato, come dimostrano molte esperienze sul territorio nazionale. Il che vuol dire che a fronte di disservizi da parte del gestore lo stesso poteva comunque aumentare le tariffe. Con la vittoria del sì viene abolita dunque la possibilità del gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa: quel tanto discusso 7% sulla bolletta degli italiani. Adesso la tariffa dovrà tenere conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere. In altre parole si impedisce di fare profitti sull'acqua.
Ma c'è un "però". Con l'uscita di scena dei privati, resta aperto il problema del fabbisogno di investimenti stimato nel rapporto Blue Book pari a 64,12 miliardi di euro in 30 anni (2 miliardi l'anno) per risolvere i problemi che attanagliano tutt'oggi il paese (10 milioni di italiani dispongono di acqua solo a intermittenza, il 20% non ha fognature, il 30% non è allacciato a impianti di depurazione). In altre parole: quale soggetto imprenditoriale vorrà impegnarsi in un affare economico dal quale non potrà avere un ritorno certo e significativo?
Le conseguenze immediate verificatesi dopo il raggiungimento del quorum sono state ad esempio la decisione di Hera, la società multiservizi bolognese impegnata nella gestione del ciclo dei rifiuti, dell'energia e delle risorse idriche, che ha confermato che non firmerà più la convenzione con gli enti locali che prevedeva investimenti per 70 milioni di euro sulla rete idrica. Hera ha inoltre perso in borsa circa il 10% del suo valore dall'inizio del mese ad oggi proprio per la probabile vittoria dei ‘Sì' al referendum.
A Roma invece la vittoria dei comitati referendari implica che la privatizzazione di Atac e Ama non si farà. Secondo il decreto Ronchi era del 40% la quota di azioni Ama e Atac che il Campidoglio avrebbe dovuto cedere ai privati. Adesso però si fermerà tutto, a meno che non si creino società a capitale misto pubblico/privato. Insomma si vedrà. Il padre del decreto sull'Acqua, l'ex Ministro Andrea Ronchi in un'intervista al Corriere della Sera difende il suo decreto: "era una buona legge", dice, "il voto - aggiunge - blocca le liberalizzazioni della gestione dei servizi pubblici: acqua, rifiuti, metropolitane. Per far funzionare questi servizi ci vogliono 120 miliardi. Come faranno i Comuni che sono senza un euro. Non faranno niente. I servizi peggioreranno". Ma non è tutto, Ronchi se la prende anche con i suoi ex colleghi del Governo. "Ma come, la 'legge Ronchi' - sbotta l'ex ministro - è una tua riforma e non la difendi a spada tratta? Puoi perdere, ma a testa alta. Ho assistito a clamorose incertezze. Berlusconi che non va a votare, ministri che vanno, altri che non vanno. Due no e due sì, due sì e due no... Alla fine, tanti elettori del centrodestra hanno votato e hanno contribuito al risultato finale".
Sarà, ma la gestione privata dell'Acqua nel Lazio ad esempio, ha portato ad una vera e propria ribellione da parte dei cittadini che si sono visti rincari annui della bolletta arrivati fino al 200%, con conti giunti fino a 245 euro. I dati forniti da Cittadinanzattiva soltanto qualche giorno prima del voto parlano chiaro: nel Lazio si registrano incrementi in bolletta che superano la media nazionale: +11,9% contro il 6,7%. Il consumo è riferito ad una famiglia composta da tre persone, che consuma 192 metri cubi l'anno, e la variazione dei costi compara il 2009 con l'anno precedente. Nel dettaglio, ci sono province in cui l'acqua costa un occhio della testa: in testa alla classifica Frosinone con 280 euro a famiglia, in seconda posizione si piazza Viterbo con 271. Ed è proprio la Tuscia a detenere il record nazionale degli aumenti con un + 53,4 %. Segue Latina, con il gestore idrico che emette fatture mediamene da 262 euro anni a famiglia, e poi Roma con 207.
Adesso però qualcosa dovrà cambiare e le famiglie non potranno più essere spennate dai nostri "operatori privati".

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